60.
A poco a poco Ammar si rese conto che Pitt non si comportava come avrebbe dovuto.
Non cadde a terra morto. Si voltò e Ammar lo vide sorridere come il diavolo.
Si rese conto di essere stato battuto in astuzia. Pitt si aspettava un attacco proditorio alle spalle e si era protetto la schiena con un giubbotto antiproiettile sotto la tenuta da sciatore.
E con un senso di orrore si accorse che la mano inguantata pendente dalla manica era finta. Un trucco da prestigiatore. La mano vera si era materializzata e impugnava una grossa Colt 45 automatica che sporgeva dal giubbotto semisbottonato.
Ammar prese di nuovo la mira con la Ruger, ma Pitt sparò per primo.
Il primo colpo prese Ammar alla spalla destra e lo fece girare di fianco.
Il secondo gli trapassò il mento e la mandibola. Il terzo gli fracassò un polso mente alzava la mano verso la faccia. Il quarto attraversò il viso da parte a parte.
Ammar rotolò sulla ghiaia e rimase steso sul dorso, ignaro della sparatoria che esplodeva intorno a lui. Non sapeva che Pitt era rientrato illeso nella costruzione del frantoio prima che gli arabi aprissero il fuoco.
Si accorse vagamente che Ibn lo stava trascinando al sicuro dietro un serbatoio d'acqua in acciaio mentre una raffica sparata dal frantoio colpiva il suolo intorno a loro. Tese la mano brancolando e strinse la spalla di Ibn, poi l'attirò vicino.
«Non riesco a vederti», sibilò.
Ibn prese un grosso tampone chirurgico da un astuccio che portava alla cintura e lo premette sugli occhi straziati di Ammar. «Allah e io vedremo per te», disse Ibn.
Ammar tossì e sputò il sangue che gli era disceso dal mento alla gola.
«Voglio che quel satana di Pitt e gli ostaggi siano fatti a pezzi.»
«Abbiamo incominciato l'attacco. Gli restano pochi secondi da vivere.»
«Se muoio... uccidi Yazid.»
«Non morirai.»
Ammar fu scosso da un altro accesso di tosse prima di riuscire a parlare di nuovo. «Non importa... adesso gli americani distruggeranno l'elicottero. Devi trovare un modo per abbandonare l'isola. Lasciami... lasciami qui. È la mia ultima richiesta.»
In silenzio, senza rispondere, Ibn sollevò Ammar e si avviò per allontanarsi dal teatro della battaglia.
Quando parlò, la sua voce era rauca ma sommessa. «Coraggio, Suleiman Aaiz», disse. «Ritorneremo insieme ad Alessandria.»
Pitt ebbe appena il tempo di balzare oltre la porta, sfilarsi i due giubbotti antiproiettile che portava sulla schiena, rimetterne uno sul petto e rendere il secondo a Giordino prima che altre raffiche trapassassero le sottili pareti di legno.
«Adesso è rovinato anche il giubbotto da sciatore», borbottò Pitt, mentre si acquattava sul pavimento.
«Saresti morto se ti avesse sparato al petto», disse Giordino che si stava rimettendo il giubbotto. «Come sapevi che l'avrebbe fatto quando gli avessi voltato le spalle?»
«Aveva l'alito cattivo e gli occhietti maligni.»
Findley incominciò a passare da una finestra all'altra e a lanciare bombe a mano dopo aver strappato freneticamente gli spilli di sicurezza.
«Eccoli!» gridò.
Giordino si rotolò sull'assito e cominciò a sparare ininterrottamente stando al riparo d'una carriola piena di minerale. Pitt riprese il Thompson giusto in tempo per fermare due terroristi che erano riusciti chissà come ad arrampicarsi nel piccolo ufficio devastato.
Gli uomini di Ammar caricarono la costruzione da ogni lato, sparando come pazzi. Era impossibile arrestare quella marea selvaggia. Sciamavano dovunque. Il crepitio degli AK-47 degli arabi e le raffiche più sonore del Thompson di Pitt erano intervallati dal rombo del fucile di Findley.
Giordino ripiegò sino al frantoio e coprì Pitt e Findley sino a che arrivarono al riparo della fortezza improvvisata. I terroristi erano sorpresi perché non trovavano nemici che si acquattavano tremando o alzavano le mani in segno di resa. Avevano previsto che, una volta penetrati nella costruzione, avrebbero sopraffatto gli avversari grazie alla superiorità numerica, e invece si trovavano esposti a un fuoco sostenuto e venivano falciati come bestie.
Pitt, Giordino e Findley decimarono la prima ondata. Ma gli arabi erano dotati di un coraggio fanatico, e imparavano in fretta. Gli spari e le esplosioni delle bombe a mano echeggiarono nel locale vastissimo prima di un nuovo assalto.
Era il finimondo. I morti si ammucchiavano a terra e gli arabi si barricavano dietro i corpi dei compagni caduti. Era una scena spaventosa... i fucili che sparavano, le bombe che scoppiavano, e le grida e le imprecazioni in due lingue appartenenti a due culture diverse quanto il giorno e la notte. La costruzione tremava. I proiettili e le schegge flagellavano i lati del grande frantoio meccanico come le scintille sprizzate da un secchio di acciaio fuso.
L'aria era satura dell'odore pungente della polvere da sparo.
In una dozzina di punti si alzarono fiamme che venivano ignorate da tutti.
Giordino lanciò una bomba che tranciò il rotore di coda dell'elicottero. Ma sebbene avessero ormai perduto l'ultima speranza di fuggire, gli arabi combattevano con maggiore impegno.
Il vecchio Thompson emise un fragore assordante e si arrestò. Pitt estrasse il caricatore rotondo da cinquanta colpi e ne inserì un altro... l'ultimo. Era animato da una volontà fredda e calcolatrice che non aveva mai conosciuto. Lui, Giordino e Findley non avevano intenzione di gettare la spugna. Ormai avevano superato il punto di non ritorno e non avevano paura di morire. Resistevano accanitamente e si battevano per sopravvivere.
Per tre volte i terroristi arabi furono costretti ad arretrare e per tre volte si lanciarono alla carica nonostante il fuoco tremendo. Sebbene fossero ormai molto meno numerosi, tornarono a raggrupparsi e tentarono un ultimo assalto suicida, stringendo un cerchio sempre più serrato intorno agli avversali.
Gli arabi non riuscivano a comprendere la decisione degli americani, l'impegno con cui si battevano, il loro atteggiamento di sfida. Gli americani volevano sopravvivere, mentre i musulmani cercavano una morte benedetta dal martirio.
Pitt aveva gli occhi che bruciavano per il fumo e le lacrime gli scorrevano sulle guance. Il frantoio vibrava. I proiettili rimbalzavano sulle fiancate d'acciaio come calabroni inferociti. Quattro lacerarono una manica di Pitt e gli scalfirono la pelle.
Gli arabi si avventarono contro il frantoio e si arrampicarono sulla barricata. La sparatoria si trasformò in un a corpo a corpo quando i due gruppi si scontrarono.
Findley cadde quando due pallottole lo colpirono al fianco; ma rimase in ginocchio e mulinò il fucile scarico come se fosse una mazza da baseball.
Giordino, che sanguinava da cinque ferite, scagliava pezzi di minerale con la mano destra, mentre il braccio sinistro era immobilizzato da un colpo alla spalla.
Pitt esaurì il caricatore del Thompson e scagliò l'arma contro la faccia di un arabo che era apparso all'improvviso di fronte a lui, poi estrasse dalla cintura la Colt automatica e cominciò a sparare a tutte le facce che spuntavano fra il fumo. Sentì una trafittura alla base del collo e comprese d'essere stato colpito. Scaricò anche la Colt ma continuò a battersi, usando la pesante pistola come se fosse una clava.
Incominciava a sentire il sapore amaro della sconfitta.
La realtà non esisteva più. Aveva la sensazione di lottare contro un incubo. Una bomba a mano scoppiò, un'esplosione così vicina da assordarlo. Un corpo gli piombò addosso, gli fece perdere l'equilibrio e lo fece cadere riverso.
Batté la testa contro un tubo d'acciaio e una sfera di fuoco gli balenò nel cervello. Poi, come un'ondata che investe la riva, l'incubo lo assalì e lo sommerse.